Pubblicato il 14 Febbraio 2023 da Veronica Baker
Si vis pacem para bellum.
“Vegezio – Epitoma Rei Militaris, Libro III, Prologo”
Si vis pacem para bellum

Qualche mese fa sono venuta a sapere che dopo 35 anni di onorata attività la ditta fondata da mio padre (di cui ormai da più di un decennio non era più socio) è fallita.
La notizia non mi ha certo sorpresa.
Era in crisi da diversi anni, il settore in cui operava (automazione industriale) in Italia è ormai in stato comatoso.
L’ultimo colpo finale li ha buttati definitivamente a terra.
Il loro modello aziendale non è mai variato nel corso degli anni.
Inoltre le conoscenze tecniche dei soci fondatori – che via via si sono sfilati dalla vita aziendale andando in pensione per limiti di età o per gravi motivi di salute – non sono state trasmesse ai nuovi soci subentranti, dei semplici venditori (quando andava bene) senz’arte nè parte che pensavano solo ad un immediato profitto e nulla più.
Il finale non poteva che essere uno solo.
Visionaria ?
No, semplicemente realista.
Marzo 25, 2013
Una crudele selezione
Qualche anno fa ancora quasi nessuno percepiva quello che stava accadendo dietro le quinte.
Invece personalmente sentivo che le cose stavano per cambiare davvero in modo radicale.
Sin dall’inizio della mia carriera lavorativa, per ragioni di prudenza e soprattutto di conoscenza che poi si sono rivelate corrette, sono partita dal presupposto che mai avrei percepito alcuna pensione.
In tal modo avrei sempre evitato di riporre vane speranze in qualcosa di estremamente incerto.
O di sperare nella benevolenza di qualche governo.
Così, trovandomi di fronte alla necessità di dover “stare sul mercato” per tutta la vita sono stata costretta a riflettere profondamente sui possibili scenari futuri della nostra società.
Strutturandomi in modo tale da affrontare una situazione profondamente diversa da quello che abbiamo conosciuto fino ad ora.
Questo atteggiamento mi ha salvata almeno per il momento.
Invece la quasi totalità dei miei conoscenti stanno soffrendo enormemente la crisi attuale.
Un errore di base
Spesso la loro vita scivola inesorabilmente verso la bancarotta lavorativa e personale.
La ragione principale di questa caduta verticale sta nel credere che l’attuale crisi economica sia imputabile esclusivamente a questioni di ordine finanziario, e che prima o poi le cose torneranno come prima.
La verità è che il problema finanziario è solo uno degli aspetti di questa crisi.
Semplicemente il più macroscopico ed il più facilmente percepibile.
L’incapacità di andare oltre la superficie impedisce di capire che questa crisi è il prodotto della confluenza di fattori diversi tra loro, che hanno determinato profondi cambiamenti del modo di vivere, nei consumi, nelle priorità.
Anche quando la crisi finanziaria dovesse essere forse un giorno risolta, questi cambiamenti saranno irreversibili.
Consegnandoci un mondo diverso da quello nel quale abbiamo vissuto ed alle volte prosperato.
Trent’anni fa l’informatica non sfiorava la vita delle persone comuni, la globalizzazione era di là da venire, la robotica muoveva i primi passi.
Inoltre la popolazione era più giovane, con meno pensionati e più occupati, ed il costo dell’energia era decisamente più basso.
Tutta la società era strutturata secondo i paradigmi del capitalismo industriale.
Le cose, sembra banale dirlo, sono profondamente cambiate.
Ma la struttura della società non si è adeguata, se non parzialmente, a questi cambiamenti.
Con la conseguenza che si è creata una sfasatura tra il mondo reale e la cultura popolare.
Questa sfasatura ha prodotto delle tensioni che, catalizzate dalla perdurante crisi finanziaria, hanno “rotto” il sistema.
Quando un sistema si rompe si formano nuovi equilibri.
Comprendere questi nuovi equilibri è la chiave vincente per affrontare il futuro.
Innovazione, rinnovamento e personalizzazione

Quando sento qualcuno lamentarsi del crollo del suo fatturato rispondo sempre con una semplice domanda.
“Com’è cambiata la tua attività negli ultimi anni ?”
Quasi sempre non vi è stato alcun cambiamento, alcuna innovazione, alcuna ristrutturazione.
Se anche la gente riprendesse a consumare sarebbe tagliato fuori dall’aumento dei consumi.
La sua azienda non risponde più alle esigenze di un mercato molto diverso da quello che oramai esiste esclusivamente nella sua testa.
Già circa cinque anni fa, quando parlavo di questi fatti nel mio blog mettevo in evidenza questi cambiamenti che ci sarebbero stati negli anni successivi.
Tutti i miei interlocutori sempre concordavano in toto con me.
Ma credo che lo facessero più per cortesia che per altro.
Pensando in fondo che io fossi una pazza, una visionaria, od al più una iconoclasta.
Il tempo invece mi ha dato completamente ragione su tutto quello che affermavo sin da allora.
Eppure anche di fronte all’evidenza a tutt’oggi si continua a parlare generalmente di crisi, a dare la colpa ai politici, alla casta, alle banche, alla congiuntura sfavorevole.
La pigrizia intellettuale, unitamente ad una certa ingiustificata presunzione, li sta condannando al fallimento.
La sostanza dei miei discorsi di allora era che l’industria avrebbe offerto una tale varietà di prodotti di ogni fascia di prezzo, da non giustificare più la presenza ad esempio di un artigiano tradizionale.
L’artigiano avrebbe dovuto cambiare paradigma.
Non più offrire una merce, ma un servizio personalizzato.
Se la sua attività si fosse invece concentrata esclusivamente sulla produzione, sarebbe invece stato spazzato via in breve tempo dall’industria.
Una guerra tra artigiani ed industria combattuta esclusivamente sul prodotto è ovviamente impari per la disparità delle forze in campo.
Molti ribattevano convinti che il loro prodotto fosse migliore di quello industriale e che la qualità avrebbe pagato.
Ma l’industria insieme a prodotti mediocri fornisce anche prodotti eccellenti.
Altri insistevano sul fatto che a differenza dell’industria potevano realizzare i manufatti nelle misure richieste dal cliente.
Ma con macchine a controllo numerico anche l’industria può fornire prodotti su misura.
Era evidente che erano totalmente avulsi dalla realtà delle cose.
Inoltre insistevo continuamente consigliando di prepararsi ad affrontare una battaglia prossima ed inevitabile.
Ma nessuno di loro ha operato quelle scelte intelligenti senza le quali non avrebbero avuto alcun futuro.
Non si trattava di investimenti che avrebbero riguardato impianti, immobilizzazioni, macchinari.
Questo avrebbe richiesto disponibilità finanziarie non sempre esistenti.
Ma investimenti di natura prevalentemente immateriale.
Investire su se stessi, acquisendo quelle conoscenze senza le quali sarebbe stato impossibile fornire quei servizi che il nuovo mercato avrebbe richiesto.
La mia tesi era che alla base di tutto occorreva cambiare mentalità, acquisendo la consapevolezza che la semplice fornitura di un prodotto avrebbe dovuto essere sostituita dalla fornitura di un servizio personalizzato alle singole esigenze.
Occupando quelle piccole nicchie di mercato che non avrebbero potuto essere soddisfatte dall’industria o dalla concorrenza cinese in primis.
L’importanza dell’immagine
La crisi c’è ed è devastante.
Ma la stragrande maggioranza delle persone sta pagando il prezzo della loro cecità, della loro mancanza di innovazione, degli investimenti completamente sbagliati.
Giusto per far capire : un televisore al plasma si può comprare a 300$, e dura 5 anni.
Nel contempo in 5 anni abbonandosi a Sky si spendono 3000$.
In pratica i contenuti costano 10 volte più del contenitore.
La stessa cosa avviene con un PC.
Un singolo programma (specie se personalizzato) costa più del PC sul quale dovrà girare.
Inoltre – ed è fondamentale ricordarselo sempre – questo è il tempo della leggerezza, dell’immateriale, del just in time, dell’immagine, dell’atmosfera, della vacuità, dell’apparenza.
Quindi chi spera di vendere dei prodotti esclusivamente di qualità o di fornire servizi ad alto contenuto – anche se dispone di conoscenze superiori a tutta la concorrenza – sta sbagliando totalmente target ed è destinato inesorabilmente al fallimento.
Oggi quello che occorre saper vendere è diverso.
Emozioni, sogni, attimi di follia, momenti unici.
Questo presuppone un approccio completamente diverso da quello utilizzato in passato.
Ed ovviamente un cambiamento radicale delle proprie strategie professionali.
Il vero capitale
In questo momento è costituito da tre elementi.
Conoscenza, relazioni, liquidità.
La conoscenza è ovviamente fondamentale.
Occorre saper fare le cose meglio degli altri, conoscere i processi, i materiali, i mercati.

Le relazioni, sostenute dalla fiducia e dall’affidabilità, consentono di trovare sempre nuovi clienti.
La liquidità – che oggi terribilmente scarseggia e che non è principalmente in mano nè agli stati, nè alle banche, ma a grossi gruppi industriali privati – consente invece quella tranquillità senza la quale diventa difficile lavorare in modo autonomo e che, sopratutto, permette di rifiutare tutto ciò che non ci piace.
Se hai liquidità e conoscenza, puoi realizzare qualunque cosa.
Se hai relazioni e conoscenza hai mercato.
Inoltre la mancanza di una pesante struttura aziendale riduce drasticamente i costi fissi.
Con la conseguenza che, qualora il lavoro dovesse scarseggiare, si ridurrebbe il reddito.
Ma non si andrebbe in perdita.
Voglio concludere ammonendo tutti coloro che sentono pesantemente la crisi di prendersi una lunga vacanza.
Occupando il loro tempo a riflettere.
Chiedersi se la propria attività possa avere un futuro al di là della crisi.
Oppure se la caduta dei consumi non abbia semplicemente amplificato problemi che in ogni caso sarebbero emersi.