Pubblicato il 13 Febbraio 2023 da Veronica Baker
A Milano tutto era regolato sul denaro.
Nei bar dicevano “cappuccio”, per cappuccino, si risparmiava qualche sillaba.
Milano microcosmo di EcoAnemia
Conosco fin troppo bene l’hinterland milanese, avendo osservato per anni costantemente giorno dopo giorno lo stato di quella che fu la capitale economica e (per certi versi) culturale italiana.
Milano (ma lo stesso ragionamento si potrebbe usare per la stragrande maggioranza delle metropoli dell’Europa occidentale, e sicuramente per praticamente tutte le città italiane) è praticamente morta dopo essersi ammalata di alcune “malattie” incurabili, che si possono riassumere con una sola parola : EcoAnemia.
Disprezzo per il lavoro e per chi lavora
Per quanto il milanese continui a ostentare una figura “lavoratrice”, dall’inizio degli anni ’90 a Milano è nata una mentalità che disprezza totalmente chi “si sporca le mani”.
Il termine “lavorare” non è più sinonimo di “costruire”, ma di “gestire”.
Gestire è l’attività di chi da un lato soffoca ogni ambizione di eccellenza per non tradire la propria mediocrità ed incompetenza.
Dall’altro è una professionalità non meglio definita che consiste nell’indossare una cravatta, parlare un idioma incomprensibile, stare al telefono a discutere di cose già discusse.
Oggi, a Milano, chi fa le cose, chi costruisce le cose, chi realizza le cose, è un povero pirla.
Il vero eroe cittadino, il modello di lavoratore locale, è chi gestisce (manager per gli amici), unico a poter ambire ad un posto fisso.
Chi sa gestire è colui che farà carriera.
Se siete bravi e vi danno la “possibilità” di far carriera, a Milano non vi offrono di fare cose più difficili, più grandi o più complesse.
Vi offrono di iniziare a gestire.
Gestire è un’attività che si svolge in tre fasi :
Mortificazione di chi sa fare, a favore di chi sa comunicare e presentarsi bene.
Nel gergo milanese : leccare il culo a qualcuno che ti farà fare strada.Diffamazione di chi sa fare, a favore di chi non sa fare.
Non ci deve essere nessuno capace di rendere evidente l’incompetenza di chi gestisce.Causare il licenziamento e l’espulsione dalla realtà produttiva di chi sa fare.
Non è abbastanza positivo, ovvero non dice sempre di sì a chi gestisce.
Questa trasformazione dell’idea di lavoro ha causato la fuga di ogni persona realmente qualificata.
Oggi a Milano non ci sono le risorse umane, le capacità o le competenze per raggiungere il più umile dei risultati.
A furia di disprezzare chi fa a favore di chi gestisce, la città si è svuotata di ogni talento umano, rimanendo regno della mediocrità ben presentabile e molto comunicativa che ormai l’informa.

Tutti questi “amministratori” si sono trovati in difficoltà con la fine dei contratti di lavoro a tempo indeterminato.
Ormai in Lombardia non è possibile lavorare se non mediante contratti atipici.
E’ venuto meno il flusso di talenti umani che prima erano attratti dalla possibilità di lavorare a Milano.
Finito il posto fisso, i meridionali ed in generale tutti gli immigrati che prima erano attratti dalla città hanno smesso di trovarla attraente (escluso i delinquenti ed i nullafacenti, of course).
Il flusso di talenti umani da “amministrare” si è fermato.
I “talenti” che prima si erano fermati si sono spostati altrove, o nel tempo sono andati in pensione.
Tutti questi esperti, che prima potevano gestire un capitale enorme di capacità realizzative, si trovano ad “amministrare” aziende che sono in difficoltà nel realizzare le cose più banali.
A Milano sono rimasti ormai solo i cialtroni.
Ma se negli anni scorsi i cialtroni riuscivano a nascondere la propria incapacità grazie a masse enormi di lavoratori che si lasciavano gestire in cambio di un posto di lavoro, oggi che il posto di lavoro non c’è più il rubinetto si è chiuso.
Ed emerge la verità, nella sua cruda amarezza.
La città del design e della moda ha metropolitane che si allagano, non sa mandare avanti decentemente una ferrovia nemmeno se privatizzata come le Ferrovie Nord.
Inizialmente, quando la città aveva ancora i capitali, chiamava aziende da fuori.
Ma quelli che “amministrano” hanno finito i soldi ed hanno iniziato ad usare solo risorse del luogo.
I risultati si vedono.
La chiesa (cattolica)

Un ente malefico e canceroso ha messo piedi nella ex-metropoli.
La chiesa (rigorosamente in minuscolo), che si riconosce in un solo modello economico : miseria, ignoranza, elemosina, umiliazione e compiacimento.
Si prefigge sempre di creare il medesimo modello dappertutto.
Ovunque sia forte, l’economia non può che degradare ad una distesa di miseria ignorante, superstiziosa, civicamente violenta e servile.
Rappresenta una speranza nell’unico modo che aumenta la disperazione tutto attorno a sè.
Questo è il suo modello di pietas, ponendosi come intermediario tra un mondo alto ed irraggiungibile e una massa di miserabili condannati peccatori cui dispensa pietà divina.
Il suo modello economico è una distesa di poveri dannati ed una cupola di ricchi, tra i quali (mediante opere di carità ed elemosina) fare da tramite.
La prima cosa che fa la chiesa quando si rafforza è investire negli immobili, immobilizzando denaro e producendo un aumento dei prezzi.
A quel punto, attratti dall’aumento di prezzi, moltissimi iniziano ad investire nel mattone immobilizzando a loro volta capitali.
Questo produce una reazione a catena che annienta liquidità in pochissimo tempo.
Lo spostamento di capitali verso l’immobiliare collassa immediatamente l’industria e riduce di dimensione l’artigianato, che diviene sempre più simile al commercio di intermediazione.
Il suo rafforzamento in Lombardia e specialmente a Milano ha segnato il prosciugarsi della liquidità prima impegnata nello sviluppo.
Oggi, se chiedete a qualcuno di quali “capitali” disponga, a Milano vi diranno che possiedono immobili.
Ma che gli immobili non siano per definizione “liquidità” nessuno lo farà notare.
Una volta immobilizzata la ricchezza nel mattone, la mancanza di liquidità uccide il resto dell’economia, lasciando solo il commercio di mediazione e le banche.
Il resto talvolta rimane in città, ma porta altrove le attività.
La procura di Milano
Un tempo Milano aveva una elite economica, capace di dare forma alla città, i cui piani davano futuro alla città stessa.
Tale elite è stata terrorizzata da Mani Pulite.

Sebbene l’inchiesta abbia toccato principalmente politici, i metodi argentini coi quali l’inchiesta fu condotta (intercettazioni illegali, uso della carcerazione preventiva come forma di tortura per estorcere confessioni, uso della stampa come strumento di linciaggio) hanno prodotto la fuga dell’intera elite.
Ormai sono pochissimi i grandi imprenditori che fanno affari in città.
Anche qualora vi risiedano.
Da anni, ormai, i pochi grandi imprenditori (monopolisti) rimasti quando vogliono discutere qualcosa prendono un aereo e vanno a parlare lontano dai microfoni della Procura di Milano.
Si riuniscono all’estero anche quando sono tutti di Milano.
Gli affari hanno lasciato la città, per paura degli inquisitori.
Del resto, il monolite canceroso della Procura ha preso volentieri il posto della vecchia elite.
Se avviene qualche “affare” in città, nel Palazzo di Giustizia si saprà.
Chi ha ogni strumento di indagine a disposizione (e senza limiti) può sapere ogni cosa.
Così, se qualche “affare“ è condotto, occorre che qualche giudice, o qualche suo parente, sia presente al tavolo (si chiamano incarichi extragiudiziari : estimi, arbitrati, consulenze, perizie) e prenda la sua fetta di torta.
Altrimenti, puntuale, arriverà l’inchiesta.
La nuova elite economica di Milano è una elite di giudici, parenti di giudici, amici di giudici.
Non c’è grosso “affare” che non avvenga senza chiedere, attraverso i canali deputati, luce verde dal palazzo della Procura.
Ma i giudici non sono imprenditori : non creano capitale od affari, ma si limitano ad entrare, personalmente o no, in ogni affare succoso della città, sia una fusione di aziende, sia un semplice fallimento.
Non avviene nulla senza pagare dazio alla Procura.
Bigottismo maligno
Il milanese di oggi è, essenzialmente, un essere malvagio.
Gode, cioè, della sofferenza e della frustrazione altrui.

Esercitare una qualche prepotenza, meglio se supportato da una massa di simili, è la sua massima aspirazione.
Meglio ancora se questo avviene dietro alla bandiera di qualche altissimo valore.
L’insulto peggiore che possiate fare a questa città è di essere felici.
Infatti Milano è l’unica città italiana (e forse del mondo intero) dove i negozianti non sorridono ai clienti.
Provate a girare per la città senza uno sguardo arrabbiato, preoccupato o assente.
Vi prenderanno per un povero pirla.
Il crimine peggiore che possiate commettere a Milano è di essere felici senza che questo corrisponda al male di qualcuno.
Una forma di competizione dalla quale qualcuno esca inferiore o umiliato, l’ostentazione di qualche ricchezza.
Odiano e detestano tutto ciò che è gioia, divertimento, spettacolo, cultura.
Tutto ciò che, essenzialmente, non capiscono.
Ogni forma di spettacolo è troppo rumorosa, o troppo oscena, o troppo troppo, insomma, a patto che qualche milanese possa avere una scusa per vietarla.
Non c’è iniziativa culturale che non provochi polemiche.
Seguite dall’immancabile divieto o dall’intervento censore dell’autorità.
E’ difficilissimo organizzare qualsiasi cosa sia svago, cultura, intrattenimento, senza che questo passi per una selva di censori, e alla fine della guerra dei veti incrociati ne risulterà qualcosa di insulso, vuoto, vecchio, snaturato e limitato.
L’unico svago, le uniche occasioni di divertimento e di cultura a Milano sono le occasioni di ostentazione.
Se si può ostentare il proprio presunto status sociale, allora va bene.
Altrimenti, non ci si diverte.
Non ci sarà mai alcun rilancio di Milano.
Chi sa fare qualcosa, e chi ama farlo, lascia perdere appena arrivano i soliti “milanesi”.
P.S. : sono “milanese” di nascita (ma felicemente “emigrata” dal 2018).