Pubblicato il 2 Febbraio 2014 da Veronica Baker
Leggiucchiando distrattamente qua e là
Leggiucchiando distrattamente qua e là ogni tanto – circa una volta al mese ormai, sinceramente di più non mi interessa dato che ormai sono anni che non gioco più nemmeno in rete – i risultati dei più importanti tornei, ho scoperto che qualche tempo fa – banco di prova per l’approvazione di questa norma al prossimo congresso Fide – al Campionato Italiano Assoluto nel 2013 tutti i giocatori partecipanti hanno firmato (od hanno dovuto firmare) un documento in cui affermavano che “in qualsiasi momento gli arbitri potevano perquisire i giocatori per verificare la eventuale presenza di apparecchiature elettroniche”, e che questa norma sarebbe servita definitivamente “a combattere i bari ed a preservare i giocatori onesti”.
Indubbiamente le finalità sono lodevoli e l’idea ha decisamente una logica ben precisa : cercare di ridurre (o quantomeno diminuire drasticamente) i casi sempre più frequenti di cheating.
Ma tralasciando gli aspetti legali/amministrativi – a mio avviso non proprio leggeri, dato che non sarà facile l’applicazione di queste norme – un fatto pare comunque evidente .
La paranoia della maggior parte dei giocatori che affrontano un torneo, visto che ormai qualsiasi spingilegnetti che perde con un giocatore più debole (figuriamoci con una giocatrice od anche con un bimbo) protesta invariabilmente sempre perchè nella maggior parte dei casi pensa che l’avversario stia barando.
Inoltre per curiosità ho dato una occhiata al numero di giocatori attivi in lista Fide, notando un fatto macroscopico : la diminuzione repentina dei giocatori attivi nella fascia 2350/2450 (un livello decisamente alto, quindi anni luce lontano dalla mia debolissima forza di gioco), a mio avviso non imputabile alla crisi economica.
Proprio la drastica diminuzione di questa fascia di giocatori dovrebbe fare riflettere gli addetti ai lavori : a questi agonisti basterebbe poco, davvero uno zinzino , ad ottenere titoli internazionali tanto agognati per anni.
Eppure smettono proprio a questo punto, forse perchè si rendono conto che anche se raggiungessero un titolo internazionale importante (compreso quello di GM !), la loro vita non cambierebbe affatto ; anzi , raggiungere un titolo sempre più alto (anche il massimo assoluto) e rendersi conto di non avere ancora ottenuto un bel nulla dà ancora più frustrazione che NON averlo raggiunto.
E questo deve essere il pensiero di molti giocatori (spesso anche molto giovani) promettenti, alcuni vicini pure ad una carriera scacchistica prestigiosa che ad un certo punto smettono del tutto o diradano decisamente le loro presenze nei tornei .
I problemi più seri dell’intero movimento a mio avviso stanno proprio nell’analisi di questa importante fascia di livello di gioco.
NON puoi BUTTARE via il tuo tempo per raggiungere un obiettivo (dedicando energie preziose e soprattutto denaro) che ANCHE quando lo hai raggiunto non ti dà NULLA o quasi, salvo rarissime eccezioni (gli over 2700), sia dal punto di vista economico ( i rimborsi spese spesso sono così bassi che anche il vincitore non riesce a coprire le spese di vitto ed alloggio), sia dal punto di vista del prestigio personale (zero assoluto).
Ed anche in termini di divertimento e di soddisfazioni personali (se vinco una partita con un giocatore più forte di me c’è sempre qualcuno che mi dice che ho barato).
E per i professionisti di medio/basso livello, che devono per forza andare a premi per ovvi motivi (= devono mangiare) , le preoccupazioni e lo stress aumentano (a proposito, tardivamente ho scoperto che ci ha lasciati anche Gyula Sax).
Che gli scacchi da torneo possano diventare malsani per la salute per le scariche di adrenalina, ansia, tachicardia,alternanza di emozioni violente, è abbastanza intuitivo – anzi ovvio – per chiunque abbia giocato agonisticamente anche un torneino sociale.
E qui torniamo sempre allo stesso punto : il modo di affrontare le competizioni e soprattutto il tipo di ambiente in cui si vive.
In realtà, lo stesso può capitare nel posto di lavoro, soprattutto oggi è facilissimo finire in un ambiente che ti mette sotto stress per mille motivi diversi e per ragioni che possono essere indipendenti dalla tua volontà ; l’importante è accorgersene in tempo e prendere le dovute precauzioni, cercando di porre prima rimedio, e poi di evitare di finire in situazioni del genere, perchè il gioco non vale mai al candela.
Gli scacchi agonistici fanno (spesso) male a causa del tipo di ambiente, altamente malsano soprattutto dal punto di vista UMANO .
Chi lo frequenta assiduamente – come praticamente capita a chiunque ne abbia fatto parte – non si rende conto di esserne semplicemente assuefatto.
Giocare a scacchi è in effetti molto divertente, ed appaga il lato ludico.
Questo può diventare un problema anche grave, perchè crea prima assuefazione e poi dipendenza : un legame per cui non si può più fare a meno di giocare e da cui nasce una forte dipendenza psicologica che finisce alla fine per modificare le abitudini mentali ed il rapporto con il mondo esterno che viene percepito solo ed esclusivamente con occhio “scacchistico”.
Chi finisce in questa situazione – definibile come “dipendenza dagli scacchi” – alla fine è sottoposto a due diverse sollecitazioni esterne che determinano la personalità di chi frequenta gli ambienti , combattuto spesso fra realtà ed immaginazione.
Situazione questa che favorisce l’insorgere dello stress e dell’ansia, per cui dopo un po’ di tempo che si frequenta l’ambiente – e soprattutto si gioca agonisticamente – diventa difficile staccarsene , isolandosi completamente con il mondo esterno , fino ad avere una sorta di simbiosi con la scacchiera e tutto ciò che ne è inerente .
L’esperienza cosciente (= la vita reale al di fuori delle 64 caselle) si affievolisce sempre di più e si tenderà a frequentare solo dei “simili”, la realtà delle cose si mischierà inesorabilmente con i desideri (Elo, titoli, vittorie) finendo a creare una alchimia pericolosissima, che disorienta la mente, fino a confondere la realtà con la fantasia dei desideri e delle aspirazioni.
Ed in questa situazione lo scacchista medio si ritrova nello stesso momento attore e spettatore, facente parte simultaneamente di una realtà reale e di una virtuale che però esiste solo nella sua mente, le sue azioni non sono più comandate dalla logica, ma da una sorta di “affettività” e di emozioni illogiche, che portano a rifiutare qualsiasi segnale e soprattutto qualsiasi consiglio proveniente dall’esterno.
E solo quando smette di giocare e torna nella vita reale, staccando la spina dall’ambiente, si rende conto di quanto il comportamento sia così irrazionale nei confronti del gioco, e torna alla razionalità.
Ma solo per poco, perchè l’irresistibile fascino del gioco riprende il sopravvento, e nei momenti in cui è fuori dall’ambiente delle 64 caselle, a causa dell’aumentare della distanza fra la tensione emotiva ed i fattori che l’hanno prodotta si determina una stato di tensione emotiva ancora più forte, proporzionalmente all’aumentare della distanza fra i fattori che l’hanno prodotta .
Alla presenza di questi segnali, significa che il fenomeno di “assuefazione dalla scacchiera” sta prendendo rapidamente piede, ed è necessario un periodo più o meno lungo di disintossicazione dal gioco ; gli scacchi devono essere gratificanti prima di tutto a livello emotivo, prima che psicologico ed economico.
Un’ultima precisazione riguardo l’ansia.
L’ansia è una condizione emotiva di conflitto interiore in cui si percepisce la possibilità di essere interessati da un evento che modifica lo stato in cui ci si trova, nel caso di un giocatore di scacchi quindi una partita, una norma, una vittoria in un torneo.
Se l’evento è sfavorevole, o percepisce un pericolo che lo minaccia, si manifesta una sensazione d’impotenza.
In altre parole l’ansia è uno stato caratterizzato da sensazioni di paura e si manifesta davanti alla prospettiva di eventi ignoti o indesiderati (paura di fare una svista, zeitnot, replica imprevista dell’avversario).
L’ansia è naturalmente un fenomeno assolutamente personale ma è caratterizzata da alcuni fattori comuni : dipende dalle aspettative, dagli interessi, dalle condizioni di salute generale.
A parità di cause che possono scatenare l’ansia, la sua patologia è maggiore se gli effetti sono imprevisti.
L’imprevisto è, infatti, per definizione un fattore ansiogeno principale ed è per questa ragione che lo scacchista cerca di programmare il comportamento, specie se è soggetto a tensioni ansiogene.
Gestire il rischio (od un imprevisto) significa controllare le capacità di agire, diversamente la lucidità e l’obiettività vengono meno e l’ansia aumenta sempre di più.
Ne consegue che l’unica maniera per poter praticare gli scacchi agonisticamente è quindi di giocare esclusivamente per il piacere del gioco, e di non pensare mai al risultato finale .
In tutti gli altri casi, gli scacchi saranno solo fonte di frustrazione e di ansia, ed alla lunga possono portare a delle patologie molto serie.
Non è quindi un caso che molti giocatori di alto livello soffrano di patologie cardiache e che quindi rischino di danneggiare irreparabilmente la propria salute.
Significa semplicemente che non vengono vissuti (anche inconsciamente) nel modo giusto.