Pubblicato il 31 Dicembre 2004 da Veronica Baker
Cultura e sviluppo nei paesi del terzo mondo
Quando mio nonno nacque, nel 1899, si viveva in modo non molto diverso da quello dei Romani : illuminazione a petrolio, si viaggiava in carrozza, si navigava sui velieri, non esistevano né la lampadina, né il telefono, né tutto ciò che oggi dipende dall’elettricità.
L’80% della popolazione lavorava nei campi, ed una percentuale molto simile era totalmente analfabeta.
La cultura era totalmente ad appannaggio di una ristrettissima elite.
Si moriva per una semplice infezione,a scuola andavano in pochissimi, la mortalità infantile era circa del 50%, e del restante 50% la metà moriva prima dell’età riproduttiva.
Le informazioni e le idee circolavano pochissimo, in assenza di cinema,radio,televisione.
Nel giro di due generazioni si è invece verificata la più grande esplosione di scoperte, di conoscenze e trasformazioni che l’umanità abbia mai conosciuto in tutta la propria storia.
Ma che è purtroppo rimasta appannaggio, se si guarda il mondo nella sua completezza, di pochi.
Solo oggi,con gli eventi tragici che hanno colpito una parte della nostra umanità, ce ne stiamo accorgendo.
Ma in realtà è sempre stato così.
La grande massa dei poveri del mondo ne è rimasta totalmente esclusa.
Questa rivoluzione scientifico-tecnologica ha amplificato ogni gesto umano.
Possiamo vedere più lontano, sentire più lontano, comunicare più lontano, viaggiare in fretta, e, purtroppo, anche sterminare più in fretta il pianeta.
L’enorme sviluppo delle conoscenze ha modificato sempre più la stessa visione dell’uomo e della natura.
Andando nello spazio, in fondo agli oceani o penetrando nel nucleo di atomo o di una cellula abbiamo iniziato a trovare alcune risposte a dei quesiti che ci siamo da sempre posti.
Spesso ci lamentiamo delle conseguenze dello sviluppo tecnologico, che invece ci ha permesso a noi fortunati di istruirci, curarci, informarci e liberarci dalla fatica.
Anche se, in fondo, siamo abituati a vedere la tecnologia sotto forma di oggetti, di macchine più o meno utili.
Ma generalmente ci sfugge il senso di tutto questo nel contesto umano.
Per capire il ruolo della tecnologia, basterebbe pensare semplicemente all’evoluzione della specie umana.
Pensiamo alla preistoria, quando l’uomo era raccoglitore e cacciatore, doveva cioè procurarsi tutto da solo : cibo, abiti, un riparo.
Con l’invenzione dell’agricoltura, vera e propria prima rivoluzione tecnologica, aumentarono le derrate alimentari, e quindi alcuni uomini iniziarono ad occuparsi di cose diverse, mangiando il cibo prodotto da altri e dando in cambio, per esempio, vasi od attrezzi agricoli.
A mano a mano che il progresso avanzò, alcuni poterono specializzarsi in altri ambiti, come il commercio od il trasporto di questi beni, offrendo cioè dei servizi.
Nacquero così il settore dell’agricoltura (primario), quello dell’industria (secondario) e quello dei servizi (terziario), composto da persone che non erano produttori, ma consumatori e che però offrivano il loro lavoro per altre cose : commercio, trasporti, insegnamento.
Questi tre settori naturalmente esistono tutt’oggi nelle nostre economie,ma con ripartizioni enormemente diverse a seconda dei paesi.
Infatti, statisticamente parlando,tre quarti della popolazione umana può produrre mediamente cibo solo per due persone.
Se si ha solo una zappa, il 90-95% della popolazione locale dovrà rimanere nei campi per sfamarsi.
Lo stesso discorso altresì vale anche per la industria : più un paese è industrializzato, meno gente lavora nell’industria.
Più aumenta l’efficienza nel produrre cibo ed oggetti, più la gente locale si potrà trasferire nell’educazione, nella sanità, nell’informazione, nell’assistenza, nel tempo libero, nella musica, nella scienza, nel turismo, nella letteratura, nella filosofia.
Quindi, in tutte quelle attività definite a misura d’uomo.
Nei paesi più avanzati e più ricchi la maggioranza della popolazione si trova già nel settore terziario, delegando i compiti più umili nella maggior parte dei casi a persone provenienti dai paesi più poveri, ancora disposte a compiti che la gente indigena non vuole più svolgere.
A questo punto sorge spontanea una domanda.
Come indirizzare nel modo giusto questo sviluppo reso possibile della tecnologia, facendo in modo che sia possibile l’accesso alla maggior parte della gente, e non solo a coloro che sono più fortunati perché nati in paesi più ricchi e più opulenti.
Perché anche noi,senza tecnologia, torneremmo rapidamente a zappare la terra e quindi nell’analfabetismo, con una speranza di vita al massimo di 40 anni, senza possibilità di indipendenza economica e di istruzione.
E’evidente che il discorso è prettamente culturale.
Più che la disponibilità di tecnologie, è la cultura di un Paese (intesa nel senso più vasto : politico, economico, educativo) che può modificare realmente il quadro di vita.
Se ci pensiamo bene, tutte le invenzioni e le tecnologie sono teoricamente disponibili per chiunque.
Ma ,in pratica,solo pochissimi le utilizzano effettivamente.
Infatti il problema non è la disponibilità fisica, ma la capacità di usarle realmente, di disporre di progetti e di ampliarli.
E, servono, molti finanziamenti.
Che, però, da soli servono a ben poco, se non ci sono menti capaci di usarli nel giusto modo.
I finanziamenti che vengono fatti ad aree depresse (non solo perché povere,ma soprattutto perché prive di una qualsiasi cultura) non riusciranno mai ad ottenere l’effetto che vorrebbero sortire.
Anche perchè, nella realtà dei fatti, gli stessi paesi ricchi che mandano finanziamenti alle aree depresse non lo vogliono.
Viene preferito impiantare stabilimenti, ma solo perché c’è bisogno di manodopera a basso costo.
Ed è più facile utilizzare risorse umane, che insegnare alla gente il progresso.
Insegnando, la gente uscirebbe dall’ignoranza.
E capirebbe.
Invece, così facendo, al limite queste grandi masse di persone povere potranno spostarsi in enormi flussi migratori verso paesi che diverranno sempre più ricchi.