Pubblicato il 19 Maggio 2010 da Veronica Baker
Anche Karpov ce lo conferma
E’ sempre gratificante per chiunque vedere che le proprie idee su di un tema specifico trovano poi conferma autorevole, da parte di persone qualificate e di grande prestigio.
In questo caso le idee di cui parliamo riguardano – ricordate ? – il tema degli scacchi e della comunicazione, cui dedicammo alcuni articoli verso ottobre/novembre dello scorso anno, commentando la scomparsa di Mike Bongiorno, la partecipazione di Cillo al quiz “Rischiatutto”, la crescita mediatica del poker, e per denunciare l’assoluta carenza di strategie comunicative e di marketing per rendere gli scacchi attraenti al pubblico, da parte degli addetti ai lavori nell’ambiente scacchistico.
La conferma che ci avevamo visto giusto, e che il problema è assolutamente grave ed importante, non ci viene certo dall’ambiente scacchistico italiano, sempre più piccolo, chiuso, provinciale e retrogrado.
Ma ci viene in primo luogo niente meno che dall’ex Campione del mondo Anatolij Karpov, dall’alto della sua esperienza di quasi 40 anni di tornei ai vertici mondiali, e delle conoscenze ad altissimo livello che in tutti questi anni ha maturato nel mondo, e non solo nell’ambiente scacchistico, ma anche in quelli politici, diplomatici, imprenditoriali, dei media, degli sponsor.
Ebbene, è sorprendente – ma fino ad un certo punto a ben vedere – che perfino il serafico e riservato Karpov, considerato da molti abbastanza “conservatore” sia dal punto di vista politico che caratteriale (molto più dell’esuberante ed estroverso Kasparov), abbia sorpreso molti presentando il suo programma come candidato alla presidenza della FIDE, la Federazione scacchistica internazionale, in competizione con l’attuale presidente Ilyumzhinov.
Nel suo programma Karpov ha esposto gli stessi concetti che avevamo illustrato lo scorso anno, e cioè che gli scacchi sono in crisi ovunque, ed il numero di giocatori praticanti non cresce, prima di tutto per l’assoluta mancanza di valide strategie comunicative e di marketing che hanno caratterizzato la presidenza della FIDE in questi ultimi 15 anni, ma più in generale per l’incapacità del mondo scacchistico nel suo complesso di comprendere l’importanza di adeguate e moderne strategie comunicative nel mondo tecnologico, globalizzato e mediatico attuale.
Particolarmente importanti ci sembrano le testuali ed incisive parole che Karpov ha usato nel suo programma :
“Chess are a huge marketable commodity”.
Gli scacchi sono un’enorme materia prima commerciabile.
Questo è sicuramente il linguaggio di un uomo del 2000 e che ha familiarità con l’economia, la comunicazione ed il marketing (le chiavi per comprendere la realtà attuale) e non di un polveroso reperto archeologico del passato, come capita spesso sentendo parlare molti “addetti ai lavori” dell’ambiente scacchistico.
Non basta infatti, ed è questo che voleva dire Karpov, che gli scacchi siano sport, arte, scienza, per garantirne lo sviluppo e la diffusione.
Voi potete anche avere un bellissimo museo pieno di quadri e di opere d’arte inestimabili, ma se – come succedeva spesso in passato e succede purtroppo ancora in Italia – poi quel museo lo lasciate chiuso proprio in estate, o durante le festività, quando arrivano i turisti stranieri, o lasciate le opere più importanti in cassaforte oppure al restauro, ecco che non solo non promuovete la conoscenza dell’arte, e quel museo decadrà e col tempo perderà visitatori fino a dover chiudere, ma di fatto contribuite a distruggerla perché siete degli incapaci burocrati e non sapete promuovere moderne strategie di comunicazione del “prodotto-arte”.
E negli scacchi è la stessa cosa.
Non basta che gli scacchi siano un gioco bellissimo e prestigioso, con una tradizione secolare (o forse millenaria) e dai molteplici contenuti intellettuali, artistici, scientifici, sportivi.
Se non sapete promuoverli con strategie mediatiche adeguate, se poi va a finire che perfino il Campionato del mondo – come è successo proprio per quest’ultimo appena terminato a Sofia tra Anand e Topalov – viene snobbato da tv e giornali, e che perfino il salone in cui giocavano i due contendenti era quasi sempre semivuoto, allora vuol dire solo che il mondo scacchistico e soprattutto i vertici organizzativi non si rendono minimamente conto di non sapere reclamizzare gli scacchi al pubblico, tra la gente comune.
Altrettanto importante, nel suo programma, il passo in cui Karpov si rende conto che un’efficace strategia di promozione degli scacchi, in grado di farli crescere davvero, deve partire DAL BASSO, a livello popolare, favorendone la diffusione tra i giovani e le persone comuni, non già – come è successo finora – dall’alto, avendo cura solo della ristretta élite della dozzina di giocatori più forti.
Ed è per questo che Karpov e la sua organizzazione hanno invitato chiunque abbia idee da proporre a contattarli per discuterne.
E qui Karpov tocca il tema del professionismo scacchistico, ben sapendo dall’alto della sua esperienza pluridecennale che gli attuali standard economici e remunerativi delle competizioni scacchistiche precludono di fatto alla stragrande maggioranza dei giocatori di alto livello la possibilità di vivere decorosamente da professionista, a differenza di quanto accade per altri sport, o attività culturali (musica, ad esempio).
E dunque creare le condizioni, appunto con adeguate strategie di comunicazione e marketing, perché gli sponsor investano denaro negli scacchi, è per Karpov un obiettivo primario del suo programma, a cui dedicare la massima attenzione.
E’ abbastanza prematuro dire già ora cosa Karpov possa riuscire a realizzare del suo programma, ammesso venga eletto.
D’altra parte chiunque di noi sa bene che un conto sono i programmi, per chiunque aspiri ad essere eletto ad una carica pubblica, e tutt’altra cosa sono le realizzazioni concrete, abbiamo tutti sufficiente esperienza delle promesse dei politici.
Ma il punto non è questo, per quanto ne sappiamo Karpov potrebbe anche non venire eletto, oppure se eletto non riuscire a tradurre i progetti in fatti concreti, e del resto non dipenderebbe solo da lui, non è questione di essere dei supermen.
Il punto che ci preme evidenziare è che per la prima volta il problema delle moderne strategie comunicative negli scacchi si affaccia prepotentemente alla ribalta, anche tra i più noti e prestigiosi degli addetti ai lavori, e diviene parte organica di un programma di un probabile presidente della FIDE.
Sarà forse per la sorpresa che l’uscita di Karpov sulle strategie di comunicazione ha suscitato, che solo pochi giorni dopo il mondo degli scacchi veniva colto di sorpresa da una notizia abbastanza clamorosa, da parte dell’imprenditore israeliano Kaplan (pare faccia parte dell’entourage dell’attuale presidenza FIDE) che comunicava ufficialmente di volere investire la bellezza di 32 milioni di dollari del suo patrimonio, nei prossimi 5 anni, per promuovere gli scacchi e favorirne la crescita, sponsorizzando sia i tornei online, su Internet, che i grandi tornei ad inviti, nelle principali città del mondo, e col contorno di “vip” per renderli visibili ai media.
Quello che – secondo Kaplan – dovrebbe costituire il “pezzo pregiato” della sua proposta è rappresentato dalla promessa di un premio di 1 milione di dollari per il vincitore di ciascuna delle 64 “fasce”, i differenti livelli di forza di gioco, nei quali i giocatori online verrebbero ripartiti (con la possibilità per i più forti di ascendere alle fasce superiori).
Desta molto interesse il fatto che sia Karpov che Kaplan muovano da una medesima constatazione, e cioè che gli scacchi negli ultimi decenni hanno perso visibilità ed attrattiva mediatica, vengono vieppiù snobbati da tv, giornali e sponsor, ma anche il numero di praticanti ed appassionati non è affatto in crescita, a confronto di altri giochi e sport.
Dovendo confrontare la proposta di Karpov con quella del “tycoon” Kaplan, si può subito dire che quella di Karpov appare molto più solida ed affidabile, anche se meno appariscente.
Ciò che desta perplessità, nella proposta di Kaplan, è l’idea che una robusta iniezione di denaro nel mondo degli scacchi, “una tantum” e per un periodo limitato, possa portare a cambiamenti positivi durevoli e strutturali
Quanto può servire tutto quel denaro, o la promessa di super premi, a stimolare davvero un interesse del pubblico verso gli scacchi?
Difficile dirlo, anche perché sembra che Kaplan abbia parlato solo degli scacchi online, e come noto gli scacchi su Internet sono cosa diversa dagli scacchi dei tornei tradizionali dal vivo.
E’ noto che gli scacchi in Internet si prestano al “cheating”, all’uso illecito del computer o di suggeritori, e dunque sono cosa ben diversa dagli scacchi tradizionali.
Molti si sarebbero aspettati semmai premi e sponsorizzazioni per i tornei e gli open tradizionali, quelli che oltre tutto rappresentano un’attrattiva turistica non indifferente, poiché vengono solitamente organizzati in note e rinomate località turistiche, e dunque potrebbero stimolare economicamente tutto l’indotto del settore turistico di non poche località.
Più che altro, è interessante riflettere su quanto il denaro possa aiutare la crescita degli scacchi, alla luce di questa e simili iniziative.
Che i premi e le remunerazioni negli scacchi debbano salire è cosa che tutti auspicano, perché finchè si rimarrà ai livelli attuali, il professionismo rimarrà una chimera per il 95% almeno dei giocatori più forti.
Non è detto, tuttavia, che un forte afflusso di denaro per un periodo limitato possa davvero cambiare le cose.
E’ vero che agli inizi degli anni ’70 il boom degli scacchi in Occidente fu dovuto anche – ma non solo – alla notevole crescita dei premi grazie all’azione solitaria di Bobby Fischer.
La borsa (oltre 150.000 dollari del 1972) che Fischer ottenne per sedersi alla scacchiera a Reykjavik e battere Spassky fu uno dei motivi che contribuì ad attirare l’attenzione di tutti i media, convogliando sugli scacchi un alone di prestigio ed interesse febbrili, e ciò produsse una crescita esponenziale di praticanti in tutto il mondo, e da allora le borse per i Campionati del mondo sono sempre rimaste a quei livelli, o perfino più alti.
Ma non va dimenticato che in quel caso non si trattava solo di una questione di denaro, ma quel match rappresentava anche la sfida tra due mentalità e visioni del mondo antitetiche, l’Est comunista e l’Ovest capitalista, e dunque l’interesse del mondo aveva altre motivazioni, ormai storicamente superate ed improponibili.
Quel che è importante osservare è che non sembra tuttavia che il denaro, da solo, possa bastare a stimolare un interesse duraturo e costante attorno agli scacchi.
Anche negli anni ’70, dopo il boom degli scacchi, il numero di giocatori tesserati si era almeno quintuplicato, nei principali Paesi occidentali.
Ma poi, dopo una decina d’anni, gran parte di quei giocatori era scomparsa, si trattava di semplici “scacchisti della domenica”, attirati dalla moda del momento.
Certo, non si può escludere – anzi è abbastanza probabile – che il richiamo dei grossi premi nei tornei online finisca per attrarre moltissimi giocatori, e di questi dopo un periodo di scrematura ne rimanga una certa percentuale di veri appassionati, e tra di loro anche alcuni campioni.
Tuttavia, tra le due proposte, ci sembra che quella di Karpov abbia il pregio di essere più solida e meno effimera, specialmente là dove propone di partire dal basso, con un’adeguata opera di sensibilizzazione e comunicazione ai bassi livelli, tra i neofiti o chi ancora vede gli scacchi come un semplice passatempo molto saltuario.
Ma sotto questo aspetto, ci pare che né Karpov, né Kaplan abbiano ancora colto il problema più importante, che è quello di CAMBIARE L’IMMAGINE ATTUALE DEGLI SCACCHI, anche attraverso corsi, campagne mediatiche, ed un’opera di sensibilizzazione discreta ma capillare a tutti i livelli.
Fino a che la maggioranza delle persone vedrà gli scacchisti come dei pazzi geniali ed eccentrici che si rovinano la vita con una dedizione esclusiva al gioco, oppure come dei frustrati che sfogano negli scacchi i fallimenti dell’esistenza, o come degli individui cupi e pieni di rancore (perché mai dobbiamo sempre leggere, nei pochi articoli scritti sui maggiori giornali da non scacchisti, continui riferimenti all’”odio” di un campione verso l’altro ?), la maggioranza delle persone fuggirà a gambe levate.
Sarà un caso, ma non si sente parlare mai di odio tra giocatori nel tennis, nel nuoto, nella pallavolo, nel rugby, nel calcio, nel judo perché mai solo gli scacchisti devono apparire come individui carichi di ostilità repressa e di odio ?
E fino a quando nei circoli e nell’ambiente prevarrà l’ossessione per l’elo e le categorie, e si inculcherà nei ragazzini l’idea che l’elo è tutto, e ci saranno giocatori che non dormono per 30 punti elo persi, o che comprano le partite e le categorie, e fino a che gli articoli sulle pubblicazioni scacchistiche parleranno solo – come fanno da 30 anni con toni ridicoli e settari da propaganda sovietica – dell’ennesima norma dell’ennesimo giovane in crescita, senza alcuna autocritica per i problemi dell’ambiente, non c’è nulla da fare: gli appassionati che giocheranno nei tornei resteranno i soliti 4 gatti.
Quella che occorre diffondere è invece un’immagine piacevole e davvero educativa del gioco degli scacchi, come passatempo non ansiogeno in grado di formare alla riflessione logica e razionale, all’autodisciplina, di allenare la memoria, l’attenzione, la concentrazione (fino a tarda età), da giocare in modo socializzante, in famiglia, tra amici, prima ancora che nei circoli e nei tornei, senza drammi se si perde, né esaltazioni eccessive se si vince, amando il gioco in sé, per la bellezza dei tatticismi folgoranti e la profondità dei piani strategici più ingegnosi.
Come occasione per visitare luoghi nuovi, e non solo per andare poi a chiudersi in camera d’albergo mattina e sera davanti ad una scacchiera.
Da giocare senza trascurare altri sport ed interessi, perché si possano formare individui con una personalità matura e completa, e non nevrotici o monomaniaci.
Solo così si potranno trasformare gli scacchi in un gioco davvero popolare, con moltissimi praticanti.
Ma c’è nell’ambiente chi ha il coraggio di ammettere gli errori commessi fino ad ora, primo passo indispensabile per avviare efficaci strategie di diffusione del gioco?
Sarà forse per l’assordante silenzio – perdonate l’ossimoro – che ha accompagnato nell’ambiente scacchistico italiano i recenti interventi di Karpov e Kaplan, ma a noi non sembra di vederne.
Sarà un caso, ma l’ambiente scacchistico italiano riesce immancabilmente ad interessarsi delle cose marginali, ed è incurante di quelle davvero importanti.