Pubblicato il 24 Ottobre 2004 da Veronica Baker
Analisti finanziari
Insieme alla classe di prodigiosi manager (abili nel vendere le proprie azioni sopravvalutate) c’è un’altra categoria di persone che hanno assunto molta popolarità negli Stati Uniti.
Sono gli analisti finanziari, in special modo gli analisti che svolgono l’analisi finanziaria delle società quotate ed esprimono un loro giudizio in merito all’opportunità di investimento.
Questo avviene con delle formule piuttosto chiare che vanno dalla peggiore, strong sell, forte vendita, alla migliore, strong buy, forte acquisto.
Le stime che essi redigono e i giudizi espressi di seguito sono diventati nel tempo più importanti dei fatti stessi contenuti nei report societari.
Che infatti non legge quasi nessun investitore.
Purtroppo (per loro e per la loro credibilità), quelle stime si sono rivelate di recente e sempre più spesso del tutto erronee, e il loro consiglio, inevitabilmente, si è tradotto in una perdita secca sul capitale investito di chi ha seguito i loro consigli.
Secondo un articolo pubblicato su Fortune nel 2000 gli analisti si sono espressi con raccomandazioni di acquisto 33.169 volte.
Peccato che le raccomandazioni a vendere azioni siano ammontate nello stesso periodo a un numero piuttosto esiguo: 125.
Circa 2200 professionisti che ricoprono circa 6000 società e solo 125 raccomandazioni di vendere. Emerge chiaramente da questi semplici numeri il gioco generale delle società di investimento presso le quali gli analisti lavorano.
Wall Street è un business che come tutti i business prospera vendendo.
E’ per questo che la quasi totalità dei giudizi consiste in una raccomandazione: comprare, soprattutto nei momenti di inversione di marcia, come era stato nel 2000, quando l’esigenza di vendita e distribuzione del prodotto è maggiore, così come maggiori sono i ricavi che se ne traggono.
Il problema è in realtà un duplice conflitto di interesse.
In un caso gli analisti sono spesso alle dipendenze della banca di investimento che opera in borsa sullo stesso titolo come trader o market maker.
Da una parte l’analista dice di comprare e dall’altra il trader (che spesso è proprio nell’altra parte della sala) scarica azioni ai retail che seguono il consiglio, annunciato magari con gran clamore e squilli di tromba dai media e dai network finanziari.
In un altro caso gli analisti lavorano spesso per la stessa società che fa da consulente finanziario alla società analizzata. L’interesse comune delle due parti è far salire il prezzo del titolo.
La borsa è una vetrina, e un titolo che sale la migliore sponsorizzazione.
Oltre che, come visto sopra, una ghiotta opportunità per vendere le proprie azioni a prezzi stellari, soprattutto quando si è retribuiti attraverso delle stock options, o si è addirittura i fondatori della società, per cui si detengono pacchetti azionari consistenti.
E’ per questi motivi che l’attività degli analisti andrebbe maggiormente controllata a tutela del risparmiatore finale.